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giovedì 31 ottobre 2013

Non sollevate quel cappuccio


   «Allora vado. Ho lasciato delle caramelle sul tavolo.»
«Perché?» Distolgo l’attenzione dallo schermo e getto un’occhiata distratta a Giusy, la mia compagna. «Lo sai che non sono goloso…»
La voce muore in gola alla visione della bellissima vampira, che sorride divertita.
«Sciocco! Sono per i bambini che verranno a suonare alla porta. È un’usanza della notte di Halloween: dolcetto o scherzetto. Dovrai onorarla, altrimenti sarà peggio per te!» Esclama, puntandomi contro l’indice dall’unghia affilata e dipinta di nero.
Negli occhi bistrati balena un lampo di scherzosa minaccia; le labbra, cariche di rossetto scuro, si schiudono come un fiore carnivoro sui canini posticci, che brillano di sinistri bagliori. È terrificante e stupenda, terribilmente sexy nell’abito di seta nera che le fascia il corpo e scopre il décolleté. Deglutisco per riprendermi dalla sorpresa, mi alzo e mi dirigo verso di lei, che ha indossato il cappotto e sta per aprire la porta. Le circondo la vita con un braccio e l’attiro a me, inebriato dal suo profumo e dalla stuzzicante sensazione di solletico dei lunghi capelli corvini.
«Sei sicura di dover andare?» Le sussurro all’orecchio. «Potremmo festeggiare tu ed io, da soli… mi lascerei perfino mordere sul collo.»
«Smettila, dai!» Mi punta i palmi contro il petto. «Mi rovini il trucco, e le ragazze aspettano; è solo un’uscita tra amiche, tra un paio d’ore sarò di nuovo a casa e riprenderemo il discorso,» ridacchia, maliziosa, «sempre che non ti addormenti davanti alla tivù come al solito.»
Fingo di essere offeso e mollo la presa: «Vai, vai, altrimenti rischi di arrivare tardi al Sabba!»
«I vampiri non partecipano ai Sabba!» Ride. «Sei sicuro di non voler venire? È la “notte nera” delle streghe: i negozi sono aperti, ci sono luminarie e festeggiamenti in ogni quartiere, si mangia per le strade, si canta e si balla tutti insieme. Sono certa che ti divertiresti…»
«Uhm… ne dubito,» scuoto la testa, «non è roba per me: non amo la confusione, e queste “americanate” non le capisco. Guarderò un film e ti aspetterò sveglio, mia dolce “succhia sangue”. Vai pure a caccia delle tue vittime e divertiti.»
Mi fissa titubante, poi mi schiocca un sonoro bacio sulla gota e sparisce in un baleno, come un’oscura creatura delle tenebre. Sospirando di rassegnazione, mi consolo nell’abbraccio della poltrona e afferro il telecomando. Una scampanellata interrompe il mio zapping. La solita distratta –penso- ha sicuramente dimenticato qualcosa, oltre le chiavi di casa, o forse ci ha ripensato e preferisce “vampirizzare” me, anziché andare in giro di notte con quelle pazze delle sue amiche. La sottile speranza mi regala una sferzata di energia: scatto in piedi come una molla e mi precipito ad aprire. Non vedo nessuno, poi mi sento strattonare per l’orlo della felpa e abbasso lo sguardo. Cinque o sei nanerottoli, mascherati da zombie, mi fissano con gli occhi cerchiati di nero nei visetti esangui. Che strani bambini –rifletto, perplesso- dovrebbero schiamazzare festosi, invece se ne stanno in silenzio, immobili, quasi senza respirare, come se fossero davvero dei morticini viventi.
«Dolcetto o scherzetto!»
La vocina squillante mi fa sussultare. Ruoto il capo e la vedo: una macchia di colore rosso acceso nel buio della notte. Che ci fa, Cappuccetto Rosso, in un branco di zombie? La bambina, quattro, cinque anni, batte per terra i piedini, stizzita.
«Dolcetto o scherzetto!» Strilla di nuovo, impaziente. «E non dire che non hai nulla da regalarci: so benissimo che ci sono dei dolci per noi. Avanti, cacciali fuori!»
Non so se arrabbiarmi o scoppiare a ridere. «Ehi, piccola, che modi! La mamma non ti ha insegnato che le cose si chiedono “per favore”? Rifammi la richiesta in maniera educata e, forse, vi darò qualche caramella.»
«Peggio per te…» sibila la piccola, «me le prenderò da sola!» e mi sferra un calcio in uno stinco. La sorpresa cede il passo al dolore, al quale subentra l’indignazione. Non sopporto i bambini, e questa è una vera peste.
«Sparite!» urlo. «Andate a rompere le scatole a qualcun altro!»
Mentre sbatto la porta sulle facce ebeti dei mini zombie e su quella, paonazza di collera, della malefica frugoletta dal cappuccio rosso, la sento sussurrare: «La pagherai: non si negano le caramelle a una bambina…»
Che tipo! Una streghetta, altro che Cappuccetto Rosso! Come diavolo sarà venuta, a sua madre, l’idea di camuffarla in quel modo? Un rumore, simile a un fruscio di carta, interrompe le mie riflessioni; mi giro e… la bambina è di spalle accanto al tavolo, scarta le caramelle e se le mette in bocca: sento distintamente lo sgranocchiare dei dentini.
«Come sei entrata?» Balbetto.
Si volta lentamente, sorride, e il cuore mi si ferma nel petto: al posto del visetto paffuto dalle gote rosse c’è un teschio scarnificato, con due pezzi di brace fiammeggiante nelle orbite. Spalanca la mandibola sdentata e sghignazza, diabolica. Indietreggio in preda al panico mentre l’essere immondo avanza verso di me, brandendo un coltellaccio nella mano scheletrica. Quando sto per guadagnare la porta mi sento afferrare per un braccio. -Gli zombie!- Penso, ricordando all’improvviso gli inquietanti compagni di merende del piccolo mostro. Pazzo di terrore, caccio un urlo disumano; sento le forze venir meno e mi accascio sul pavimento...
«Ehi, sono io, svegliati!»
Sbatto le palpebre, impiego diversi secondi per mettere a fuoco il volto di Giusy, che mi fissa preoccupata.
«Lo sapevo che ti saresti addormentato! E devi aver fatto un brutto sogno, a giudicare dalla faccia : sei pallido e tremi come se avessi visto uno spettro. Andiamo a dormire, dai… Halloween non è la festa per te.»  
Afferro la sua mano per alzarmi dalla poltrona e avverto un sinistro scricchiolio, come di legna secca, oppure di… ossa! Nel palmo sto stringendo le falangi di uno scheletro. Sollevo gli occhi… al posto del volto di Giusy, il teschio dagli occhi di brace mi fissa beffardo. L’orrenda voragine che un tempo era una bocca sta masticando qualcosa… sono caramelle!   

    


martedì 29 ottobre 2013

Un regalo per Marina

  
        Alex riflette un attimo, prima di apporre la firma sul foglio.
«Gli ematomi spariranno in pochi giorni, e le escoriazioni guariranno senza lasciare cicatrici» afferma, con tono professionale.
Marina abbozza un sorriso riconoscente, sforzandosi di trattenere le lacrime. Il giovane medico del pronto soccorso l’ha tenuta d’occhio per tutto il pomeriggio, mentre lei attendeva il proprio turno seduta in disparte, con lo sguardo perso nel vuoto. Bel modo di trascorrere la vigilia di Natale…
Quando l’ha visitata, la ragazza ha biascicato d’essersi procurata i lividi e le ferite cadendo dalle scale, ma la voce incrinata dal pianto e lo sguardo sfuggente erano ben poco convincenti.
Alex s’è sentito fremere di rabbia: ne ha viste tante, troppe, come lei! Donne oltraggiate, vittime di ogni sorta di sevizie, che si vergognano come se fosse colpa loro e tacciono, proteggendo gli aguzzini.
«Domani è Natale…» le sussurra. «Perché non fai un regalo a te stessa?»
Lei lo guarda senza capire.
«Puoi sporgere denuncia e mostrare questo referto. Chi picchia le donne è un bastardo, non merita comprensione né pietà. Nemmeno la vigilia di Natale!»
S’è accalorato e la voce è salita di tono. Marina arrossisce e abbassa gli occhi, imbarazzata.
«Non devi vergognarti» continua, deciso. «Tu non hai nessuna colpa: non c’è nulla di sbagliato in te. Quelli che sfogano le frustrazioni maltrattando i più deboli sono dei malati, persone pericolose che vanno fermate. Non è solo un tuo diritto: è un dovere! La prossima volta lui potrebbe ferirti seriamente, o addirittura ucciderti. Non permettere che accada. So che gli vuoi bene, ma devi volerne soprattutto a te stessa. Non può esserci amore, dove c’è la violenza!»
Marina tace, a occhi bassi. Alex scuote la testa rassegnato:
«D’accordo, come vuoi…» le porge la cartella con il referto. «Torna fra qualche giorno a farti dare un’occhiata. Buon Natale.»
La ragazza annuisce e gli sfiora la guancia con un bacio, mormorando un timido “grazie”. Nell’uscire, indugia un istante sulla porta e si volta verso di lui:
«Sai? Credo che me lo farò quel regalo. Buon Natale anche a te.»


lunedì 28 ottobre 2013

Tacete...



Non sopporto chi pontifica,
chi si crede importante
senza essere nessuno,
chi si arroga il diritto
di sputare sentenze,
tranciare giudizi
elargire consigli.
Ma guardatevi, ascoltatevi:
chi cazzo siete?
Credete davvero che il mondo
non giri senza di voi?
Idioti illusi!
Il segno che lascerà
la vostra vita inutile
è più impalpabile
della bava di lumaca.
E ancora parlate, parlate…
Ma tacete, perdio!
E imparate l’umiltà.

mercoledì 23 ottobre 2013

Cala il sipario



Signore e signori,
il pagliaccio è stanco:
è ora di calare il sipario
sugli stracci  multicolori,
il trucco osceno,
i lazzi e gli sghignazzi.
Non concedo il bis, stasera,
stasera no…
Voglio spogliarmi, struccarmi,
rilassare i muscoli dolenti
dei falsi sorrisi,
buttare le membra spossate
su un giaciglio
e lasciar scorrere le lacrime
a lavacro del cuore.
Non concedo il bis, stasera,
perdonatemi…
Se non siete soddisfatti
rendo i soldi del biglietto,
ma stasera lasciatemi in pace…


sabato 19 ottobre 2013

Aquiloni



I sogni sono aquiloni
dai colori sgargianti.
Volteggiano lievi
sospinti dal vento,
e tu li rincorri
aggrappata ad un filo,
col cuore di bimbo
e gli occhi nel sole.
Credi che ti appartengano
e ridi, correndo felice.
Ma basta un fuscello
per farti inciampare:
il laccio scivola via dalle dita
e resti lì, immobile,
a guardare il cielo.
Li vedi sempre più piccoli,
finché i colori si fondono
in un grumo nero e sfocato
nel livido tramonto della vita.

venerdì 4 ottobre 2013

Mare nero




Stanotte il mare è più nero:
nero di corpi innocenti,
nero di speranze annegate,
nero delle nostre sporche coscienze.
Vergogna!
Ha tuonato un uomo vestito di bianco.
Vergogna!
Non c’è altra parola,
non c’è riscatto né assoluzione,
non ci sono false lacrime
né petti percossi
né capi cosparsi di cenere
che possano lavare questa vergogna.
È nero il mare, stanotte,
un’orrida tomba d’innocenti
senza nome, senza futuro,
senza più voce per gridare
la loro pena ad un mondo d’ignavi,
maledetti  bastardi indifferenti,
sporchi fin nel profondo
delle nostre anime nere!


mercoledì 2 ottobre 2013

Cenere d'amore


immagine web modificata

Per averti accanto a me
scalerei le montagne,
m’inabisserei nell’oceano,
vagherei per gli spazi siderali.
Potrei spegnere il sole,
farmi amica la luna,
strappare le stelle e fartene dono.
Smetterei di bere, di mangiare,
tratterrei anche il respiro.
Soffocherei uno ad uno i sogni
e li celerei in uno scrigno.
Bandirei la mia libertà
come il peggiore dei nemici,
ti rinchiuderei nel mio cuore
e getterei la chiave.
Ti farei schiavo di me
ed io lo sarei di te.
Potrei mentire, tradire, uccidere,
per averti al mio fianco,
tutta la vita
o anche soltanto un’ora.
E avrei paura di quest’amore
che mi ridurrebbe in cenere.